ICMESA, il disastro di Seveso
Silvia Vernotico
Il 1976 è l'anno segnato dal disastro di Seveso.
A 26 km a nord di Milano, nel comune di Meda sorge l'industria chimica ICMESA, di proprietà della Givaudan, un'azienda svizzera specializzata in fragranze e profumi. Tra le molte linee produttive ve n’era una dedicata al 2,4,5-triclorofenolo (TCP), una sostanza impiegata nella produzione di diserbanti, fungicidi e battericidi. In particolare il TCP veniva richiesto da Givaudan per la produzione di esaclorofene, un disinfettante utilizzato nei saponi.
Nel 1963 la multinazionale svizzera Hoffman-La Roche acquista la Givaudan e conseguentemente diventa proprietaria dell´ICMESA.
Alle 12:40 di sabato 10 luglio 1976, nello stabilimento ICMESA di Meda, il sistema di controllo del reattore chimico A101 destinato alla produzione di triclorofenolo, va in avaria. La temperatura e la pressione salgono oltre i limiti previsti. L'alta temperatura raggiunta causa una modifica della reazione, che comporta una massiccia formazione di 2,3,7,8-tetraclorodibenzo-p-diossina (TCDD), sostanza comunemente nota come diossina, una delle sostanze chimiche più tossiche.
L’elevata pressione raggiunta nel reattore provoca lo scarico del contenuto verso un sistema di sfogo, dove il disco di rottura non resse alla pressione ed esplose, causando la dispersione in atmosfera del contenuto del reattore. La TCDD fuoriuscì nell'aria formando una nube tossica, visibile ad occhio nudo, che colpì i comuni di Meda, Seveso, Cesano Maderno, Limbiate e Desio. Il comune maggiormente colpito fu Seveso, in quanto situato immediatamente a sud della fabbrica.
Nei giorni immediatamente successivi all’evento si iniziarono ad osservare i primi effetti: danni chimici sulle colture, morte improvvisa di piccoli animali domestici e uccelli, ustioni cutanee e cloracne.
Furono identificate e delimitate tre aree di decrescente contaminazione in base alle concentrazioni di TCDD misurate nel suolo: zona A, con concentrazioni di TCDD nel suolo molto elevate, zona B più ampia e meno inquinata di A, e zona R, o ‘di rispetto’, dove la contaminazione era minore e sparsa, a macchie. Oggi la zona A, la più inquinata, ospita il Bosco delle Querce, un parco naturale regionale a servizio della comunità, sede di un centro di documentazione per non perdere la memoria di quanto successo.
Roche e Givaudan si sono impegnate per cercare di porre rimedio al danno causato, assistendo le autorità nelle indagini per valutare gli effetti collaterali del disastro. Nel giro di tre anni Roche chiuse i contenziosi aperti con tutte le autorità italiane interessate dalla fuoriuscita della nube tossica e, nel contempo, tramite il proprio ufficio insediato a Milano, liquidò oltre 7000 pratiche con i pagamenti effettuati direttamente ai privati, con un onere complessivo a carico della multinazionale di Basilea di oltre 200 miliardi di lire.
Fu solo dopo e a causa di Seveso che fu adottata in Europa una legislazione per il controllo dei rischi derivanti dalla presenza di siti produttivi e impianti potenzialmente inquinanti per la popolazione e l’ambiente, la direttiva del Consiglio Europeo del 24 giugno 1982 che fu definita “Direttiva Seveso”.
Secondo una classifica del 2010 del periodico Time, l'incidente è stato classificato all'ottavo posto tra i peggiori disastri ambientali della storia.