Il mio Daimon
Silvia Vernotico
Di sera, a Firenze, avendo con me un paio di libri e lo stretto necessario per superare la settimana lavorativa, l’unica distrazione che mi concedo è quella di scorrere su TikTok alcuni video. Tra i soliti tormentoni del momento la mia attenzione viene rapita ultimamente da alcuni, quelli del filosofo Umberto Galimberti.
Le parole raccolte in questi video, scorsi velocemente su TikTok, mi sono arrivate potenti come non mai e mi hanno iniziato a far riflettere su quanto sia complesso cercare il proprio posto non solo nel mondo, e di questo lasciamo che se ne occupi la filosofia, quanto in ambito lavorativo.
In greco antico la parola felicità viene tradotta con “eudaimonia”, da εὖ (eu) e δαίμων (daimon) che significano rispettivamente bene e demone.
La lingua italiana traduce daimon come “demone", una divinità inferiore o entità intermedia tra il divino e l’umano, che influisce beneficamente o maleficamente sulle sue azioni. Nel suo significato originario il daimon non è un essere negativo, come quello che oggi conosciamo come “demone” o “demonio” ma ha una duplice natura, benefica e malefica. Conosce il suo successo attraverso il filosofo Platone che, nel Mito di Er raccontato in La Repubblica, ne delinea i tratti e la funzione, trasformandolo in uno degli archetipi più importanti della cultura occidentale. Il mito di Er narra di come l’anima, prima della nascita, scelga il proprio destino: un disegno da vivere sulla terra, un’immagine primordiale da seguire. Per onorare questa scelta, le viene donato un genio tutelare che la possa guidare: il daimon. Questo compagno è partner solo dell’anima a cui è stato assegnato e ha la funzione di ricordarle il suo destino e di assicurarsi che venga realizzato.
Ebbene la felicità per i greci è la “buona riuscita del tuo demone”, quello che i giapponesi chiamano “il messaggio dell’imperatore", quello che i cristiani chiamano “vocazione”.
Come si raggiunge allora la felicità? Conosci te stessi, conosci il tuo demone, cosa è che ti spinge a fare il pittore, piuttosto che il commercialista, piuttosto che l’insegnante. Quando hai conosciuto il tuo demone realizzalo “bene” ma ad una condizione, “katà metron” ovvero secondo misura altrimenti prepari te stesso alla rovina.
Se il mio daimon fosse quello di fare lo “scienziato”, di scoprire molecole nuove per la cura di patologie nuove investirò tutte le mie energie per raggiungere la mia “vocazione” ma dopo aver conosciuto bene me stessa, dovrò inevitabilmente non oltrepassare mai la mia misura.
Saprò che non potrò essere la versione femminile di Paul Janssen, il fondatore della divisione farmaceutica della statunitense Johnson & Johnson, definito nel 2002 dalla prestigiosa rivista “Nature Reviews” l’inventore più prolifico di tutti i tempi.
Saprò che non potrò essere la versione lucana di Carlo Erba, il padre della più grande industria chimico-farmaceutica italiana.
Saprò però che il mio daimon è unico e nella mia unicità cercherò di nutrirlo sempre di più per portare un contributo che possa fare la differenza nel settore che ho scelto e che mi appassiona più di ogni altro, il Life Sciences.