Henrietta Lacks
Silvia Garau
Baltimora, Maryland (USA). 29 gennaio 1951
L’ospedale Johns Hopkins è una delle strutture maggiormente all’avanguardia per la ricerca medica negli Stati Uniti. Talmente innovativo da essere uno dei pochi luoghi nell’America dichiaratamente razzista degli anni ’50, a fornire alle persone di colore un’assistenza medica, ovviamente in ambulatori ben separati dai bianchi.
E’ proprio qui che ha inizio la storia di Henrietta Lacks.
Henrietta Lacks è una giovane afroamericana madre di cinque figli che la sera del 29 gennaio 1951 accede all’ospedale Johns Hopkins lamentando anomali sanguinamenti vaginali. Henrietta viene visitata dal ginecologo Howard Jones che invia un campione di cellule uterine al laboratorio di analisi tissutale del dottor George Gey. La biopsia restituisce una drammatica diagnosi: tumore maligno della cervice uterina.
Henrietta viene da subito sottoposta ad un trattamento al radio, considerato la miglior terapia dell’epoca con buone probabilità di successo. Ciononostante le condizioni della donna non migliorano, al contrario, le cellule tumorali di Henrietta si moltiplicano ad un ritmo così incalzante da lasciare a bocca aperta il dottor Gey e i suoi collaboratori. I medici si accorgono ben presto del fenomeno sbalorditivo, mai registrato prima nella storia della medicina: le cellule tumorali riproducono un’intera generazione in sole 24 ore, continuando a crescere anche in laboratorio.
Senza chiedere alcun consenso alla donna né tantomeno informare la famiglia, l’ospedale decide di commercializzare le cellule di Henrietta sotto il nome “HeLa cells” secondo le leggi dell’epoca che conferivano pieni diritti sul materiale biologico dei pazienti. Così per anni, i medici sfruttano lo scarso livello di istruzione della famiglia Lacks per sottoporre i suoi figli a prelievi e controlli ospedalieri nella speranza di fare luce su questo singolare fenomeno.
Henrietta Lacks muore il 4 ottobre 1951 a soli 31 anni, 8 mesi dopo la diagnosi.
Quello che si scoprì poi è che le sue cellule sono 'immortalizzate', hanno 82 cromosomi (anziché 46) e grazie alla mutazione dell’enzima telomerasi data dal Virus del Papilloma Umano (HPV) non invecchiano mai e rappresentano ancora oggi una risorsa inestimabile per la comunità scientifica.
Nel 1952, la linea cellulare HeLa viene inviata al dottor Jonas Salk per sviluppare il vaccino contro la poliomielite. E da allora Le cellule HeLa vengono utilizzate dagli scienziati di tutto il mondo per effettuare studi sul cancro, sul genoma, sugli effetti delle radiazioni e delle sostanze velenose, tanto che ad oggi si stima che esistano almeno 11 mila brevetti contenenti questa linea cellulare.
Nel marzo 2013 alcuni ricercatori dell'European Molecular Biology Laboratory di Heidelberg rendono pubblica la sequenza genomica del DNA delle cellule HeLa, violando il diritto alla privacy di Henrietta e dei suoi discendenti (che ne condividono il DNA). La vicenda di Henrietta ha un lieto fine. La famiglia Lacks, grazie alla giornalista americana Rebecca Skloot, riesce ad ottenere un riconoscimento da parte del National Institutes of Health (NIH) e due dei suoi discendenti entrano a far parte del comitato che regola l’accesso ai dati della sequenza genomica HeLa.
But I tell you one thing, I don't want to be immortal if it mean living forever, cause then everybody else just die and get old in front of you while you stay the same, and that's just sad.
― Rebecca Skloot, The Immortal Life of Henrietta Lacks
a cura di Sivia Garau
Fonti
Chiara Albicocco e Sara Occhipinti, Henrietta Lacks, la donna dalle cellule immortali, su moebiusonline.eu.
Danilo di Diodoro, La donna con le cellule immortali, su corriere.it.
Matteo Rubboli, Perché le cellule “immortali” di Henrietta Lacks hanno salvato milioni di vite umane, su vanillamagazine.it.
The legacy of Henrietta Lacks, su hopkinsmedicine.org
Rebecca Skloot, La vita immortale di Henrietta Lacks, Adelphi, 2011.
Jonathan Landry et all, The genomic and transcriptomic landscape of a HeLa cell line, in G3: Genes, Genomes and Genetics on 11th March 2013 - DOI: 10.1534/g3.113.005777