Adriamicina, la gallina dalle uova d'oro della Farmitalia
Silvia Vernotico
Era una mattina di agosto del 1968 quando Gianni Bucalossi chiamò Pietro Bonadonna per discutere di una nuova sperimentazione. Bucalossi e Buonadonna erano colleghi nonché amici di lunga data. Si conobbero in America e fu proprio Bonadonna che convinse Bucalossi a rientrare in Italia e dedicarsi presso l'Istituto Nazionale dei tumori di Milano alla terapia farmacologica dei tumori.
C'era questo nuovo antibiotico antitumorale di Farmitalia, e Aurelio Di Marco lo stava testando nei topi e nei ratti. Sembrava essere molto efficace nel rallentare la progressione del tumore e aumentava la sopravvivenza degli animali. Era un'antraciclina come la daunomicina, scoperta poco prima sempre in Farmitalia. A livello molecolare, il suo effetto era quello di interferire con la molecola del Dna, impedendo la sua replicazione e la trascrizione dell’Rna.
Il nome che gli era stato dato fu Doxorubicina o Adriamicina, in onore del mare Adriatico, ed era stato isolato un nuovo ceppo di Streptomiceto partendo da un campione di terreno preso dalla zona attorno al Castel del Monte, da questo batterio che produce un pigmento rosso fu ottenuto un antibiotico che risultò essere efficace contro i tumori nei topi.
Si trattava ora di stabilirne l'attività terapeutica nell'essere umano, il dosaggio e lo schema di somministrazione. Bonadonna mise a punto lo schema di trattamento e a settembre un paziente ricevette la prima dose del farmaco.
Era un ragazzo con un sarcoma delle parti molli, in fase avanzata. L'adriamicina venne iniettata per endovena. Si presentava come un liquido rosso terribile, bisogna infatti stare attenti che dalla vena non fuoriuscisse, poichè causava ulcere cutanee. Poi, nausea, vomito, stomatite, abbassamento dei globuli bianchi e delle piastrine. Ma gli effetti più spaventosi del farmaco poco più tardi spiazzarono tutti. Dopo alcuni giorni il ragazzo cominciò a perdere i capelli, i peli e le unghie. La reazione dell'organismo fu violenta, ma gli effetti sorprendenti: il tumore si ridusse come mai accaduto prima.
Ora bisognava testarlo e vedere se il farmaco potesse contrastare anche altri tipi di tumore. La scelta cadde su un giovane colpito da linfoma non Hodgkin, con il collo gonfio e tumefatto per la malattia che ne aveva invaso i linfonodi. Stessi effetti collaterali, ma anche in questo caso la tumefazione scomparve quasi del tutto in poco tempo la terza paziente fu una donna con un tumore della mammella.
Altri test sarebbero seguiti e il farmaco si sarebbe dimostrato efficace nel cancro del seno e dell'ovaio, nei linfomi maligni e nei sarcomi delle parti molli.
Nel tempo il suo spettro di attività si fece sempre più ampio, come ampio fu il numero di studi pubblicati sulle riviste scientifiche, più di 52mila, tanto da fare l'adriamicina, ancora oggi, il farmaco antitumorale con il maggior numero di applicazioni terapeutiche.