Il Trapianto d'organi, la sua storia
Silvia Vernotico
É veramente spaventoso pensare a quanto accadrà quando i problemi del trasferimento degli organi saranno risolti: le conseguenze potrebbero essere rivoluzionarie come quelle della scissione dell'atomo.
G.Gillies e R. Millard, nel 1957 nel loro “Principles and art of plastic surgery”
L'idea di "trasferire" organi da un soggetto sano ad uno malato fu accarezzata sin dall'antichità. Ma i primi tentativi non furono compiuti se non agli inizi del 1900.
Nel 1912 il Premio Nobel Alexis Carrel si dichiara convinto dell'esistenza di una "forza biologica" che si opponeva all'attecchimento di un organo trasferito da un soggetto all'altro, e sino agli anni '40 sir Peter Brian Medawar, Premio Nobel 1960, sostiene con fermezza che questa "forza biologica avrebbe per sempre impedito il trapianto di organi tra due individui.”
I più sembrarono rassegnarsi dinanzi a un'affermazione del genere, ma altri si rifiutarono di accettarla passivamente.
E stato per merito di ostinati ricercatori se negli anni '50 e '60 sono stati ottenuti risultati di enorme rilievo, primi fra tutti la scoperta di sostanze specifiche presenti sulla parete cellulare, i cosiddetti "antigeni di trapianto", che nell'uomo furono chiamati HLA (Human Leucocyte Antigene).
Si è visto poi che gli antigeni HLA presenti sulle cellule dell'organo trapiantato vengono riconosciuti come estranei dall'ospite, le cui cellule immunitarie fanno del tutto per cacciar via la parte trapiantata. Non solo. Ma questo "rifiuto" è bilaterale, nel senso che per il trapianto di cellule immunologicamente attive come nel caso del midollo osseo, queste riconoscono a loro volta come estranee le cellule residue dell'ospite, per cui il tessuto innestato attacca queste cellule sino a portare a morte il soggetto.
È questa la reazione "graft versus host" ("trapianto contro ospite" o GVH), causa di una malattia nota come "graft versus host disease" (GVHD) alias malattia del trapianto contro l'ospite.
A questo punto divenne imperativo per i ricercatori cercare di contrastare in qualche modo la GVH e rendere finalmente possibile il trapianto di organi e di cellule. E il contributo apportato da due medici statunitensi, Joseph E. Murray e E. Donnall Thomas a queste ricerche divenne determinante.
Nel dicembre del 1954 al Brigham and Women’s Hospital di Boston, si presenta un ragazzo con una grave insufficienza renale. Il ragazzo aveva un gemello omozigote. Vista la grave disfunzione renale del giovane 23enne, Murray esegue il trapianto di rene sui due fratelli.
É il primo trapianto di rene tra due gemelli omozigoti e, nel 1962, Murray esegue il primo trapianto di rene prelevato da un cadavere.
Negli anni successivi, Murray diviene uno dei principali specialisti nei campi della biologia dei trapianti, dell'uso delle tecniche di immunosoppressione e degli studi sui meccanismi di rigetto. Negli anni sessanta, la scoperta di medicinali antirigetto come l'azatioprina gli permise di effettuare trapianti da donatori senza vincoli di parentela con i riceventi.
Thomas riesce, dal canto suo, a migliorare ulteriormente tale effetto somministrando in luogo dell'azatioprina un'altra sostanza, il metotrexate. Sono stati proprio questi studi di Thomas e della sua Scuola, a Seattle, a dare grande impulso, agli inizi degli anni '70, alle ricerche sul trapianto di midollo osseo.
Ma i miglioramenti apportati da Thomas alla tecnica del trapianto di midollo consentirono di estendere questo metodo ad altre forme come la talassemia, la leucemia e l'anemia plastica. Lo stesso Thomas effettuò in breve tempo ben 110 trapianti in pazienti leucemici "senza speranza".
E se agli inizi il trapianto di midollo aveva tutta l'aria di essere un procedimento "eroico", quasi disperato, esso si è mostrato nel tempo quantomai prezioso non soltanto nei pazienti molto gravi, ma anche nelle forme più lievi e recenti di leucemia, con indici di sopravvivenza elevatissimi per l'epoca.