I Volti del Farmaceutico, Ugo Di Francesco

Silvia VernoticoSilvia Vernotico

Silvia Vernotico

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I Volti del Farmaceutico, Ugo Di Francesco

Attualmente CEO di Kedrion, azienda dalle origini italiane produttrice di farmaci plasmaderivati, Ugo Di Francesco inizia la sua carriera come informatore e nei suoi 35 anni d'esperienza nel mercato farmaceutico ha occupato ruoli di spicco presso grandi aziende del settore come Sigma-Tau, Amgen Corp., Novartis, Bristol Myers Squibb e infine Chiesi. 

Non solo. Di Francesco vanta anche un Executive MBA in Business Administration alla Business School dell’Università di Bologna e un Post Graduate in Global Management presso l’Università di Salford a Manchester, nel Regno Unito. 

Prima di iniziare la sua carriera nel mondo del pharma è stato un allenatore professionista di pallavolo. 

“Nel mio percorso, il passaggio chiave è stato sicuramente quello dallo sport professionistico ad una vita lavorativa - diciamo – ‘più classica’, così com’è concepita dalla maggior parte delle persone. Ci tengo però a sottolineare che lo sport mi ha dato molto: il concetto di lavorare in squadra, di vincere nel rispetto delle regole, di allenarsi tutti i giorni, e di pianificare degli obiettivi di medio e lungo termine come fanno i giocatori che, talvolta, si preparano anni per una sola partita. Sono tutti aspetti che fanno parte del mio stile manageriale e che ho ritrovato nella vita quotidiana in tutte le mie esperienze professionali”. 

“Devo dire che ci sono altri due elementi che mi caratterizzano e che, forse, provengono dallo sport o, più semplicemente, fanno parte di me: l’accettare le sfide con entusiasmo e non avere paura di cambiare. Nello sport si cambia spesso squadra e, quindi, per me il cambiare non è mai stato un problema; anzi, in alcuni momenti della mia vita, ho cercato il cambiamento proprio per trovare stimoli diversi”. 

Ugo Di Francesco è nato a Parma. Vive con la moglie e ha due figlie.

“Sono sposato da trentatré anni, una storia lunga una vita, e mia moglie ha giocato un ruolo chiave lungo tutto il mio percorso professionale. Ho due figlie meravigliose e da poco sono diventato nonno di un bellissimo nipotino. Devo dire che nella sfera privata sono molto family-oriented e geloso della mia privacy”. 

🏐 Quanto ha influito l’esperienza di allenatore professionista di pallavolo sul suo percorso professionale?

“Credo che il lavoro dell’allenatore presenti diverse analogie con quello del manager, penso - ad esempio - a come formare e gestire una squadra che, nel mondo aziendale, si traduce nel tema delle assunzioni e nella ricerca di determinate caratteristiche nelle persone”. 

“Un’altra analogia - prosegue Di Francesco - riguarda il giusto mix tra assunzioni dall’esterno e promozioni interne, un aspetto che si ritrova nello sport con l’arrivo di giocatori provenienti da altre squadre o dal settore giovanile. E ancora: la gestione dello spogliatoio e dei conflitti da parte del leader, capace di coinvolgere il team e di farsi seguire: una figura che, in molti casi, non coincide con il campione nello sport, né con il top performer in azienda. Prima di concludere vorrei citare due ultime analogie: il focus sui risultati e la ricerca costante di un allineamento su obiettivi comuni e valori condivisi all’interno di una squadra formata da giocatori molto diversi tra loro per età, cultura e che, tra l’altro, percepiscono anche stipendi differenti. Sono gli obiettivi comuni e i valori condivisi che danno un vantaggio alla squadra, che a sua volta si riflette positivamente sui singoli membri”. 

🗺 E la sua esperienza all’estero quanto è stata importante per lei?

“L’esperienza internazionale mi ha dato tantissimo a livello di approccio mentale e di capacità di interfacciarmi con culture e stili manageriali diversi”. 

“Ma sopra ogni cosa quello che ha determinato più di ogni altro il corso della mia vita è stato l’incontro con mia moglie, dato che senza di lei oggi non sarei qui: non solo perché, probabilmente, avrei continuato almeno per un altro po’ di tempo a fare sport, ma soprattutto perché ho avuto la grande fortuna che, in tutti i cambiamenti vissuti, lei mi ha sempre appoggiato e seguito, è sempre rimasta al mio fianco. Io non avrei mai messo a rischio la famiglia per la carriera e se, a un certo punto della mia vita avessi dovuto scegliere, avrei sicuramente scelto la famiglia”.  

👨🏻‍💼 Perché ha scelto di assumere la guida di Kedrion? 

“Prima di tutto, vorrei fare una premessa che non riguarda solo Kedrion, ma tutte le persone che come me lavorano nel mondo farmaceutico: la cosa più importante che facciamo è quella di salvare o aumentare le prospettive di vita delle persone. A mio avviso, questo focus sui pazienti e sulle persone che vivono a fianco di chi deve fare i conti con una malattia deve essere la stella polare che ci guida e ci rende orgogliosi ogni giorno del nostro lavoro. E tutto ciò si ritrova e si esprime a pieno in Kedrion, considerato che quasi tutti i suoi prodotti sono salvavita”. 

“Perché ho scelto Kedrion? Perché, secondo me, era il progetto giusto nel momento giusto del mio percorso professionale, oltre a rappresentare una sfida che poche volte si presenta nella vita di un manager: avere l’opportunità di costruire qualcosa di nuovo, partendo non da zero ma da due realtà consolidate, come Kedrion e BPL, ognuna con una propria storia e una propria cultura. Unire due aziende così diverse e, allo stesso tempo, simili, allinearci su dei valori condivisi e insieme crearne di nuovi per dar vita a una realtà globale: questo progetto era, per me come italiano, il migliore presente nel nostro Paese in quel momento”. 

🛣 Istinto, raziocinio o esperienza? Cosa la guida nelle sue scelte professionali?

“Una delle cose che ho imparato da un grande capo che ho avuto all’inizio della mia carriera è che molte volte istinto ed esperienza insieme ti aiutano a prendere decisioni anche se non hai a disposizione tutte le informazioni necessarie. E questo, alcune volte, mi ha aiutato molto, facendomi assumere ogni tanto anche dei rischi, ovviamente sempre calcolati. Più vado avanti con gli anni e più questo aspetto legato al prendere decisioni guidato dall’istinto o, come lo chiamano gli inglesi, dal gut filling, devo dire che c’è”.

💪🏽 Che cosa ne pensa del tema della leadership e cosa significa essere un leader per lei?

“Nel mio immaginario io non voglio essere il capo solo perché ne ho i gradi. Ho sempre cercato di applicare un modello di leadership basato sulla condivisione e sul coinvolgimento delle persone. Lo stile ‘command and control’ non fa parte del mio essere”.

“Mi piacerebbe essere ricordato come un leader che ha messo tutte le persone nelle condizioni di poter esprimere il proprio potenziale e raggiungere i propri desideri ed obiettivi professionali e personali… E anche i sogni, perché no?” 

“A mio parere, se un leader riesce in questo - conclude - il successo è una conseguenza. In quest’ottica, è fondamentale basare il rapporto sulla trasparenza e la fiducia reciproca”.

👩🏼‍🎓 Qualche consiglio per i giovani professionisti nel mondo del pharma?

“Secondo me, oggi ci sono dei giovani molto bravi e molto preparati: in tutta onestà, non so se con questa affermazione vado controcorrente dato quello che si sente dire spesso, ma io ne sono convinto. E sono altrettanto convinto che abbiano due grandi vantaggi rispetti alla mia generazione: la flessibilità e la cultura digitale”. 

Come primo consiglio, ai giovani, suggerirei di incanalare entrambe queste opportunità nella giusta direzione, dato che l’essere nati in una cultura digitale dà loro un vantaggio competitivo enorme. Il secondo consiglio che darei è quello di incanalare queste opportunità con il giusto livello di pazienza, che è un po’ quello manca ai giovani. Con questo, non vorrei tornare alla vecchia visione secondo cui l’esperienza si determina solo dopo dieci o vent’anni di lavoro, ma mi piacerebbe arrivare a quel giusto mix tra questi due vantaggi competitivi e l’esperienza necessaria”.

“Per quanto riguarda il nostro settore, oltre al focus sui pazienti di cui abbiamo già parlato, il principio guida è quello di generare innovazione”, precisa. “Su questo, un altro consiglio che mi sento di dare ai giovani è quello di capire che ‘innovazione’ e ‘invenzione’ sono due cose diverse. L’invenzione è qualcosa che accade ogni tanto e di solito è legata alla genialità di un individuo; mentre la generazione di innovazione è, invece, un modo di lavorare in cui tutti insieme si arriva ad un’innovazione per gradi incrementali, ovvero per passaggi che implicano, appunto, la pazienza”. 

🤟 Le tre parole chiave per descriversi a una platea di giovani professionisti del mondo del pharma?

Entusiasmo: “La prima è sicuramente l’entusiasmo nel senso che quando faccio le cose o le faccio con entusiasmo o faccio davvero fatica a farle e si vede”. 

Lavoro di squadra: “Mi piace fare le cose in compagnia. Qualsiasi cosa faccia, anche nella vita privata, preferisco farla insieme”. 

Divertimento: “Quando parlo di divertimento mi riferisco ovviamente al divertimento nel mondo del lavoro. Semmai un giorno mi dovessi accorgere che quello che sto facendo non mi piace più, non mi diverte più, smetterei sicuramente”. 

👾 In questi anni è cambiato il modo di fare ricerca e di generare innovazione. Quali sono le principali sfide ed opportunità rappresentate dai big data e dall’intelligenza artificiale per il mondo del pharma e, più nello specifico, per il settore dei plasmaderivati? 

“Le potenzialità offerte dai big data e dal loro utilizzo, unito anche all’impiego dell’intelligenza artificiale, porteranno ad un’accelerazione nello sviluppo di farmaci, soprattutto per quanto riguarda la fase preclinica andando a ridurre fino potenzialmente ad eliminare la sperimentazione sugli animali; all’individuazione di nuove combinazioni terapeutiche e nuove terapie; ad un abbattimento dei costi. Tutto ciò si tradurrà nel migliorare a 360° la capacità di un’azienda di generare innovazione”. 

“Se applichiamo questi concetti al mondo dei plasmaderivati, a mio avviso, le aree di intervento sono principalmente due: la prima riguarda l’identificazione di nuove proteine presenti nelle frazioni di plasma scartate durante la produzione, attraverso un ulteriore e più profondo sviluppo di quello che stiamo già facendo a livello di proteomica; la seconda, invece, è la possibilità di arrivare grazie all’intelligenza artificiale ad individuare, a partire dal plasma del singolo donatore, quale potrebbe essere l’evoluzione della sua salute e predire alcune delle patologie che potrebbe sviluppare. Il tutto nell’ottica di una medicina sempre più personalizzata, addirittura individuale”. 

🤾🏽 Ultima chicca…come passa il tempo libero il CEO di una azienda farmaceutica?

“Il mio tempo libero è fatto di amici, sport e famiglia. Da buon emiliano, mi piace sedermi a tavola in compagnia e gustarmi una buona cena o guardare a casa un bel film”. 

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